BENVENUTI - TERVETULOA - VäLKOMMEN

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martedì 30 settembre 2008

Inchiesta sull'Università italiana

Dal Corriere della Sera di Milano:

Inchiesta L’economista della Bocconi analizza un sistema disastroso. E spiega quali sono i rimedi

La prof che non pubblicò una riga

Università malata. La denuncia di Roberto Perotti: clientelismo e sprechi

Il bello del calcio è che, qualche volta, può accadere l’impossibile: la Corea del Nord che batte l’Italia, l’Algeria che batte la Germania, Israele che batte la Russia. Il brutto dell’università italiana è che troppo spesso accade l’impossibile. Come all’Università di Bari, dove un concorso del 2002 dichiarò idonea alla cattedra l’aspirante docente Fabrizia Lapecorella, che aveva zero pubblicazioni nelle quattro categorie delle 160 riviste più importanti del mondo, zero nelle prime venti riviste italiane, zero in tutte le altre, zero libri firmati come autore, zero libri come curatrice, zero libri come collaboratrice. E ovviamente zero citazioni fatte dei suoi lavori: come potevano citarla altri studiosi, se non risulta aver mai scritto una riga? Eppure, battendo una concorrente che aveva un dottorato alla London School of Economics, 10 pubblicazioni e 31 citazioni sulle riviste nazionali e internazionali più importanti, vinse lei. Destinata a essere promossa poco più di tre anni dopo, dal terzo governo Berlusconi, direttore del Secit per diventare col secondo governo Prodi esperto del Servizio consultivo e ispettivo tributario e infine, di nuovo con Tremonti, direttore generale delle Finanze. Una carriera formidabile. Durante la quale, stando alla banca dati centrale di tutte le biblioteche italiane, non ha trovato il tempo per scrivere una riga. Sia chiaro: magari è un genio. E forse dovremo essere grati a chi l’ha scoperta nonostante difettasse di quei lavori che all’estero sono indispensabili per diventare ordinari.
Ma resta il tema: con quali criteri vengono distribuite le cattedre nella università italiana? Roberto Perotti, PhD in Economia al Mit di Boston, dieci anni di docenza alla Columbia University di New York dove ha la cattedra a vita, professore alla Bocconi, se lo chiede in un libro ustionante che non fa sconti fin dal titolo: L’università truccata. Gli scandali del malcostume accademico. Le ricette per rilanciare l’università (Einaudi). Un’analisi spietata. A partire, appunto, dal sistema di assegnazione delle cattedre. Dove i casi di persone benedette dalla nomina a «ordinario » con 12 «zero» su 12 in tutte le tabelle delle pubblicazioni e delle citazioni, a partire da quelle del «Social Science Citation Index», sono assai più frequenti di quanto si immagini, visto che Perotti ne ha scovati almeno cinque. Dove capita che il rettore di Modena Giancarlo Pellicani indica una gara vinta dal figlio Giovanni anche grazie alla scelta di non presentarsi di 26 associati su 26. Dove succede che il preside di Medicina a Roma, Luigi Frati, possa vincere la solitudine avendo al fianco come docenti la moglie Luciana, il figlio Giacomo, la figlia Paola. Un uomo tutto casa e facoltà. Che probabilmente diventerà rettore della Sapienza. Superato solo da certi colleghi baresi come i leggendari Giovanni Girone, Lanfranco Massari o Giovanni Tatarano, negli anni circondati da nugoli di figli, mogli, nipoti, generi... Il familismo è però solo una delle piaghe nelle quali il professore bocconiano (che ha l’onestà di toccare perfino il suo ateneo, rivelando che «l’ufficio relazioni esterne della Bocconi impiega circa 100 persone e ha un bilancio di 13 milioni di euro» che basterebbero ad assumere «i migliori docenti di economia degli Usa») affonda il bisturi. A parte quello che «il clientelismo e la corruzione esistono, ma sono tutto sommato circoscritti», Perotti fa a pezzi almeno altri tre miti. Uno è che «il vero problema dell’università italiana è la mancanza di fondi». Non è vero. Meglio: è vero che «le cifre assai citate della pubblicazione dell’Ocse "Education at a Glance" danno per il 2004 una spesa annuale in istruzione terziaria di 7.723 dollari per studente» appena superiore ad esempio a quella della Slovacchia o del Messico. Ma se si tiene conto che metà degli iscritti è fuori corso e si converte più correttamente «il numero di studenti iscritti nel numero di studenti equivalenti a tempo pieno», la spesa italiana per studente «diventa 16.027 dollari, la più alta del mondo dopo Usa, Svizzera e Svezia ». Quanto agli stipendi dei docenti, è verissimo che all’inizio sono pagati pochissimo, ma da quel momento un meccanismo perverso premia l’anzianità (mai il merito: l’anzianità) fino al punto che un professore con 25 anni di servizio da ordinario non solo prende quattro volte e mezzo un ricercatore neoassunto ma «può raggiungere uno stipendio superiore a quello del 95 percento dei professori ordinari americani (...) indipendentemente dalla produzione scientifica».
Altro mito: nonostante tutto, «l’università italiana è eroicamente all’avanguardia mondiale della ricerca in molti settori».Magari! Spiega Perotti che in realtà, al di là della propaganda autoconsolatoria, fra i primi 500 atenei del mondo, secondo la classifica stilata dall’università cinese Jiao Tong di Shanghai, quelli italiani sono 20 e «la prima (la Statale di Milano) è 136ª, dietro istituzioni quali l’Università delle Hawaii a Manoa ». Certo, sia questa sia la classifica del Times (dove la prima è Bologna al 173˚posto) sono fortemente influenzate dalle dimensioni dell’ateneo. Infatti nella «hit parade» pro capite della Jiao Tong 2008 possiamo trovare al 19˚posto la Normale di Pisa. Ma a quel punto le grandi università italiane slittano ancora più indietro: la Statale milanese al 211˚,Bologna al 351˚,la Sapienza addirittura a un traumatico 401˚posto. Da incubo. Quanto al quarto mito, quello secondo cui «l’università gratuita è una irrinunciabile conquista di civiltà, perché promuove l’equità e la mobilità sociale consentendo a tutti l’accesso all’istruzione terziaria», l’economista lo smonta pezzo per pezzo. I dati Bankitalia mostrano che nel Sud (dove il fenomeno è più vistoso) dal 20% più ricco della società viene il 28% degli studenti e dal 20% più povero soltanto il 4%. Un settimo. In America, dove l’università si paga, i poveri che frequentano sono il triplo: 13%. Come mai? Perché al di là della demagogia, spiega l’autore, l’università italiana è «un Robin Hood a rovescio, in cui le tasse di tutti, inclusi i meno abbienti, finanziano gli studi gratuiti dei più ricchi ». Rimedi? «Basta introdurre il principio che l’investimento in capitale umano, come tutti gli investimenti, va pagato; chi non può permetterselo, beneficia di un sistema di borse di studio e prestiti finanziato esattamente da coloro che possono permetterselo». Non sarebbe difficile. Come non sarebbe difficile introdurre dei sistemi in base ai quali il rettore che «fa assumere la nuora incapace subisca su se stesso le conseguenze negative di questa azione e chi fa assumere il futuro premio Nobel benefici delle conseguenze positive». Tutte cose di buon senso. Ma che presuppongono una scelta: puntare sul merito. Accettando «che un giovane fisico di 25 anni che promette di vincere il premio Nobel venga pagato tre volte di più dell’ordinario a fine carriera che non ha mai scritto una riga». Ma quanti sono disposti davvero a giocarsela?

lunedì 29 settembre 2008

Incredibile ma vero! Cose di altri tempi ai giorni nostri.


Dalla "STAMPA" di Torino.


"Nel Duecento la nostra famiglia fu messa all'indice. Per avere il battesimo dobbiamo nascere lontano da casa"


Don Gianmario è lì che li aspetta tutti, sui gradoni del sagrato di Pecetto, sulle colline torinesi. E’ lì con il Vangelo e l’acqua benedetta, gli occhiali che gli scivolano sul naso, sotto al campanile che incombe e davanti al portone chiuso della Chiesa. E’ la domenica del battesimo. Ma non è un battesimo proprio uguale agli altri. Davide adesso è ancora ai piedi della scalinata, in braccio a papà Paolo, con i suoi pochi giorni di vita e i suoi secoli di storia, mischiati insieme fra la luce e il buio, il peccato e la fede, la colpa e il merito. Quando l’avrà benedetto, dice don Negro ai due bambini che l’ascoltano con la testa obliqua e le mani in tasca, «voi aprirete la porta e ci farete entrare. Basterà una piccola spinta». «Davide potrà entrare solo perché è nato lontano da qui - raccontano i suoi parenti -, sono le assurdità della Storia». Don Gianmario si gira e a un suo gesto la famiglia comincia a salire, il papà, la mamma, i padrini, i nonni, la sorellina, i cugini, gli zii, i nipoti. Sono 52. Si chiamano tutti Bosso, come nello stemma di famiglia, come il legno più duro che ci sia, scomunicati «ab aeternum» da Papa Gregorio IX (anche se la Chiesa dice che la scomunica non esiste più), il primo gennaio del 1233, «compresi tutti i successori maschi, empi e sacrileghi nativi fra le case di Pecetto».

Davide è l’ultimo discendente, nato da poche settimane e già «empio e sacrilego» come può esserlo un bambino senza peccato che non sia quello originale. Appena sarà benedetto, «in luogo adattato appositamente e non prima del sorgere, né dopo il tramontare del Sole», come recitava l’antico dispositivo della Chiesa torinese del 1571, potranno aprirsi le porte e cominciare il battesimo. Solo allora, anche a un bimbo sarà permesso d’ascoltare la parola di Cristo.Fra l’anacronismo del rito e l’incredibile suggello della Storia, si consuma anche il più arcaico dei sacramenti. Non c’è niente di più strano da vedere. Da sempre i Bosso, «per aggirare il divieto, fanno nascere i loro figli al di fuori del territorio di Pecetto», spiega nonno Michele, 79 anni, una vita fra le carte di famiglia, la casa a Porto Venere e i ciliegi di queste colline. «Così evitavano l’attuazione e l’esecuzione della scomunica». Anche oggi i Bosso continuano a vivere arroccati in questa convinzione, come appesi a una maledizione che forse non esiste più e pure con Davide hanno aggirato il divieto facendolo nascere a Segrate.Don Gianmario dice di non aver mai visto le carte antiche, ma di aver saputo della scomunica eterna dai concittadini. «Non è mai stata revocata, per farlo ci vogliono procedure lunghe ed antiche - spiega -. Ma ormai siamo tutti figli del Concilio Vaticano II, la Chiesa certe cose le ha superate».

La razzia

Dal Vaticano assicurano che le scomuniche «ab aeternum» non valgono più, che punire i discendenti per le colpe dei padri non è mai stato legale, neppure per i tempi bui del Medio Evo, però la vicenda dei Bosso è lo stesso straordinaria. In fondo, questa domenica diversa è cominciata in un tempo così lontano, che molto s’è già perso nelle carte, e nel sangue. Otto secoli fa. Era il 15 gennaio 1224 quando alcuni cittadini fondarono la «villa di Pezetus»: fra questi c’erano quattro Bosso. Uno di loro si chiamava Guglielmo. Qualche anno dopo, il 27 dicembre del 1232, suo figlio Obertinus fu chiamato assieme a Oddino da Ugone del Carretto, il podestà di Chieri, per punire gli abitanti del Comune di Testona che avevano bruciato alcuni vigneti di Pecetto. Oddino e Obertinus, nominati primi cavalieri, esagerarono un po’: oltre alle punizioni, dopo aver reso la pariglia e distrutto la quota spettante e qualcosa di più fra campi e vigne, bruciarono pure il campanile, e si portarono via due campane, tutti i libri, i paramenti e i vasi sacri. Intervenne la Chiesa. Va bene bruciare le vigne e distruggere i campi, ma niente campanili: contro gli autori dell’atto sacrilego, il Vicario papale della diocesi torinese, Giacomo Romanisio, inflisse la sentenza di scomunica. Pochi giorni dopo, il primo gennaio del 1233, la scomunica fu confermata da papa Gregorio IX ed estesa a tutti i discendenti maschi «empi e sacrileghi», originari o nativi in Pecetto.

La supplica

Nei secoli, qualcosa è cambiato, ma non tutto. Dal 1571, i sacerdoti di Pecetto, prima di impartire il battesimo ai maschi dei Bosso, davano lettura di una apposita supplica, voluta dal cardinale Della Rovere. Poi, i discendenti di Oddino e Obertinus divennero maestri d’armi e nobili, e avevano soldi e terreni. Solo che restò sempre quella scomunica. Adesso Paolo Bosso, 41 anni, direttore commerciale, ha sposato Luisa. La prima figlia, Irene, è già stata battezzata. «Lei non ha aspettato fuori dalla Chiesa», dice nonno Michele, l’ultimo della famiglia nato a Pecetto, l’ultimo battezzato solo dopo la supplica dei genitori. Adesso tocca a Davide, con tutto quello che gli appartiene senza che ne abbia merito o colpa. Don Gianmario sta spiegando che li fa attendere qui fuori, «perché quando io busso a casa di qualcuno, c’è chi viene ad accogliermi. Il primo pilastro della vita cristiana è l’accoglienza». Poi recita la formula: Che cosa siete venuti a chiederci? «Il Santo Battesimo», rispondono. «Molto bene», dice il sacerdote, «siete consapevoli di questa responsabilità? Allora la Chiesa accoglie Davide e poi entreremo nel luogo dove si riconosce la comunità cristiana perché lì c’è la presenza del Signore. Compiamo il gesto per dire nel nome di chi battezziamo Davide». Benedice con il segno della croce la fronte del piccolo. Dietro di lui i due bambini sono accanto al portone, quasi sull’attenti. «Adesso Marco e Stefano ci invitano a entrare nella Chiesa».Le porte si spalancano. Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. I cinquantadue Bosso si disperdono sulle panche. Fuori dalla luce del giorno, nella penombra della Chiesa, è come se il sacramento tornasse a essere quello di sempre. Don Negro legge San Paolo, lettera ai filippesi: «Fratelli, non fate nulla per vanità o vanagloria, ma ciascuno di voi con tutta umiltà consideri gli altri superiori a se stesso». Parola del Signore. Davide ha gli occhi aperti. Il papà lo guarda. La mamma leva gli occhi verso l’altare. Il nonno gli sorride.

venerdì 19 settembre 2008

Trieste e la Mitteleuropa


Con il termine Mitteleuropa (Europa centrale in tedesco) si indica quel vasto territorio europeo che fino alla prima guerra mondiale fu sotto l'influenza della cultura tedesca grazie all'Impero Asburgico. Un territorio che comprendeva 13 popoli diversi che pur seppero convivere fino a quando le rivalse nazionali ebbero, giustamente, il sopravvento e con la prima guerra mondiale dettero il benservito alla corte di Vienna. L'esperienza di quel periodo è ancora tenuta viva da tante associazioni che vedono in quel "mondo felix" fatto di tolleranza reciproca, di rispetto tra i popoli nonchè di fervore culturale e scientifico (Vienna era la capitale della medicina), un ideale, oggi più valido che mai.
Una delle capitali della Mitteleuropa era Trieste.

La città giuliana sin dal XIV secolo si pose sotto la protezione del Duca d'Austria per poter meglio combattere Venezia che aspirava alla supremazia sull'Adriatico. Nel 1719 Carlo VI d'Austria attribuì a Trieste lo status di porto franco investendovi grandi capitali. Dopo la morte di Carlo VI, salì al trono Maria Teresa d'Asburgo che permise alla città di diventare uno dei principali porti europei. Occupata per ben tre volte dalle truppe napoleoniche, Trieste ritornò definitivamente all'Austria nel 1813. Gli anni successivi vedranno la città crescere economicamente e culturalmente diventando, dopo Vienna e Budapest, la terza città dell'Impero.

Fino al XIX sec. a Trieste di parlava il tergestino, una lingua retoromanza simile al friulano e al ladino. Con l'espansione della città arrivano nuovi idiomi, nasce un detto: a Trieste la nobiltà parla tedesco, il popolo parla italiano ed il contado parla sloveno. Nel 1910 gli Asburgo censiscono i triestini. Risulta una popolazione di 229.510 abitanti di cui il 51,8% parlavano italiano, il 24,8% parlavano sloveno, il 5,2% parlavano tedesco, l'1% parlava il serbo-croato. Nel 1920 la città è annessa al Regno d'Italia. Il movimento irredentista, di cui Trieste e Trento furono le città simbolo, che aveva lo scopo di riunificare all'Italia le terre abitate da secoli da popolazioni di cultura italiana, fu il motore che favorì l'annessione grazie al sacrificio di tanti patrioti.

La fine della seconda guerra mondiale fu un ulteriore smacco per la città giuliana, occupata prima dalle truppe di Tito e poi dagli anglo americani. Durante l'occupazione dei comunisti titini avvenne l'eccidio di migliaia di cittadini italiani reputati nemici dei comunisti, i disgraziati venivano assassinati e gettati nelle foibe, naturali fosse dell'altopiano carsico. Nel 1947 fu creato, sotto l'egida delle Nazioni Unite, il territorio libero di Trieste diviso in una zona A occupata dagli anglo-americani ed in una zona B occupata dalle truppe di Tito (Josip Broz). Solo nel 1954 la situazione fu risolta assegnando alla Jugoslavia la zona B della provincia triestina e la zona A all'Italia. Il Trattato di Osimo del 10 novembre 1975 chiuderà definitivamente la questione.

Nel XX sec. la storia della città di Trieste è cambiata notevolmente.
Pur rimanendo una città splendida e conservando tutto il fascino della sua storia, è passata dall'essere uno dei gioielli dell'Impero Asburgico, città economicamente, culturalmente e socialmente all'avanguardia ad essere una città di confine, patria di accesi movimenti nazionalisti, una città di provincia senza particolare rilievo nella storia socio-economica dell'Italia moderna.
Foto: Trieste, piazza Unità d'Italia

martedì 16 settembre 2008

Carlo Lorenzini, in arte Collodi, il Papà di Pinocchio


Carlo Lorenzini nacque a Firenze nel 1826 da una modesta famiglia di lavoratori, il padre era cuoco mentre la mamma era domestica presso la famiglia Garzoni grazie alla quale il giovane Carlo potè compiere i suoi studi. Entrato in seminario per diventare prete e per farsi un'istruzione, successivamente cominciò a lavorare presso la libreria Piatti di Firenze entrando così in quel mondo dei libri che tanto l'affascinava. Divenne redattore e cominciò a scrivere per la Rivista di Firenze. Nel frattempo aveva ricevuto una speciale dispensa ecclesiastica per poter leggere l'indice dei libri proibiti. Allo scoppio dell prima guerra d'indipendenza, nel 1848, si arruolò volontario ed andò a combattere a fianco dei Piemontesi. Tornato a Firenze fondò una rivista di satira titolata "Il lampione". Nel 1849 divenne Segretario ministeriale e l'anno successivo amministratore della libreria Piatti che come succedeva spesso all'epoca, svolgeva anche la funzione di editrice. Nel 1853 fondò una nuova rivista "Scaramuccia" sulla quale pubblicò alcune commedie. Nel 1856 appare il primo articolo a firma Collodi, dal nome di una frazione del comune di Pescia di cui la madre era originaria. Sempre in questo anno vengono pubblicate le sue prime opere importanti, Gli amici di casa e Un romanzo in vapore, Da Firenze a Livorno, Guida storico-umoristica. Nel 1859 partecipa alla seconda guerra d'indipendenza. Nel 1860 diventò censore teatrale. Il 7 luglio 1881, sul primo numero del periodico per l'infanzia Giornale per i bambini (pioniere dei periodici italiani per ragazzi diretto da Fernandino Martini), uscì la prima puntata de Le avventure di Pinocchio, con il titolo Storia di un burattino. Nel 1883 pubblicò Le avventure di Pinocchio raccolte in volume. Nello stesso anno diventò direttore del Giornale per i bambini.
Morì improvvisamente a Firenze nel 1890.

Altre opere di Collodi sono: Giannettino, Minuzzolo, Racconti delle fate (traduzione ed adattamento di fiabe celebri francesi). Partecipò anche alla redazione de il Novo vocabolario della lingua italiana secondo l'uso di Firenze.

Pinocchio ancora oggi è uno dei libri più popolari della letteratura mondiale per l'infanzia. Noi italiani siamo così bravi a proteggere le nostre opere che in Finlandia molti sono convinti che Pinocchio sia americano e davvero pochi sanno che è frutto della fantasia di uno scrittore italiano.
Nella foto: Il Giornale per i bambini su cui apparvero per la prima volta le avventure di Pinocchio

lunedì 15 settembre 2008

Napoleone Bonaparte


Napoleone Bonaparte nacque ad Ajaccio in Corsica il 15 agosto 1769 poco più di un anno dopo la stipula del Trattato di Versailles (maggio 1768), con il quale la Repubblica di Genova lasciava mano libera alla Francia in Corsica, che fu così invasa dalle armate di Luigi XV ed annessa al patrimonio personale del Re. Morì in esilio nell'Isola di Sant'Elena il 5 maggio 1821.
La famiglia Bonaparte apparteneva alla piccola borghesia e aveva lontane origini nobili toscane

Il padre di Napoleone, Carlo Maria Buonaparte (Napoleone "francesizzò" il cognome in "Bonaparte" dopo la morte del padre), avvocato laureatosi all'Università di Pisa, aveva effettuato ricerche araldiche per ottenere, presso i lontani parenti toscani di San Miniato (Pisa), una patente di nobiltà che gli conferisse prestigio in Patria e gli permettesse di meglio provvedere all'istruzione dei figli. Morì ancor giovane di un tumore, nel 1785. La madre, Letizia Ramolino, sopravvisse allo stesso Napoleone, passando gli ultimi anni della sua vita a Roma, dove morì nel 1836. Maria Letizia Ramolino ebbe 13 figli di cui otto sopravvissero.

Fu solo grazie al titolo nobiliare ottenuto in Toscana che Carlo poté iscriversi al Libro della nobiltà di Corsica, istituito dai francesi per consolidare la conquista dell'isola, e solo grazie a tale iscrizione, all'età di appena nove anni, il giovane Napoleone fu ammesso, sempre per iniziativa del padre, alla Scuola reale di Brienne-le-Château, nel nord della Francia, dove rimase per cinque anni. Per migliorare il suo francese e prepararsi alla scuola, prima frequentò per quattro mesi il collegio di Autun.
Napoleone inizialmente non si considerava francese e si sentiva a disagio in un ambiente dove i suoi compagni di corso erano in massima parte provenienti dalle file dell'alta aristocrazia transalpina, e lo prendevano crudelmente in giro motteggiando il suo nome come "la paille au nez" (l'accusa di essere straniero l'avrebbe perseguitato per tutta la vita). Senza amici e mal considerato, anche per la fragile apparenza fisica, il giovane Napoleone si dedicò con costanza agli studi, riuscendo particolarmente bene in matematica.

Allo scoppio della rivoluzione, nel 1789, Napoleone (ormai ufficiale del re Luigi XVI) riuscì a ottenere una lunga licenza e ne approfittò per riparare al sicuro in Corsica, ove si unì al movimento rivoluzionario assumendo il grado di tenente colonnello della Guardia Nazionale. Nel 1792 si rifiutò di tornare a servire nell'Armata in Francia e fu pertanto considerato disertore. Su pressione dei familiari, si convinse tuttavia a rientrare a Parigi, dove si presentò al ministro della Guerra e difese la propria causa con tali argomenti e tale abilità da ottenere non solo il perdono e il reintegro, ma persino la promozione ipso facto a capitano.

Nel frattempo (1793) in Corsica infuriava la guerra civile. Già dal 1792 gli eccessi rivoluzionari e l'instaurazione del "Terrore" avevano spinto l'eroe nazionale dell'indipendenza corsa, Pasquale Paoli a prendere le distanze da Parigi e a riprendere il cammino verso l'indipendenza della Corsica. Accusato di tradimento e inseguito da un mandato di arresto, Paoli ruppe gli indugi rivolgendosi con un appello direttamente al popolo corso affinché difendesse la propria patria e i propri diritti. I Buonaparte, che pure avevano sostenuto Paoli al tempo della rivolta contro Genova e poi contro le Armate di Luigi XV (il padre Carlo e forse anche la madre parteciparono accanto a Paoli alla battaglia di Ponte Nuovo contro i francesi), scelsero invece la causa francese. Napoleone fuggì rapidamente ad Ajaccio e di lì riparò con l'intera famiglia - accusata di tradimento - a Tolone. La famiglia non rientrerà più ad Ajaccio.
Da quel momento Napoleone sostenne con decisione la rivoluzione e salì rapidamente nella gerarchia militare....

venerdì 12 settembre 2008

Luca Maestri sarà il nuovo CFO di Nokia Siemens Networks


Luca Maestri, nato a Roma il 14-10-1963, assumerà la carica di CFO (Chief Financial Officer ) per il colosso delle telecomunicazioni Nokia Siemens Networks. Maestri , laureato alla Luiss di Roma, proviene dalla General Motors dove ha ricoperto la carica di Vice Presidente e CFO per General Motors Europe. In precedenza ha ricoperto la carica di CFO per l'area del Mercosur (il mercato comune del Sud America) ed ancora prima ha occupato varie posizioni di vertice, sempre in GM, in USA, Brasile, Thailandia, Singapore ed Italia.

Luca Maestri entrerà in Nokia Siemens Networks il 1 ottobre p.v. ed assumerà formalmente la carica di CFO il successivo 1 novembre.

Auguri di buon lavoro.


La vita di Dante Alighieri


Dante Alighieri nacque a Firenze il 5 giugno 1265 in una famiglia della piccola nobiltà cittadina. I suoi genitori erano Alighieri II degli Alighieri e Bella degli Abati. Intraprese studi di vario genere ed in particolare quelli di retorica sotto la direzione di Brunetto Latini, suo unico e grande maestro. Fu amico dei poeti dello Stilnovo tra cui spicca Guido Cavalcanti.

Fin da giovanetto conobbe Beatrice, la sua musa ispiratrice il cui ricordo lo accompagnerà in tutta la sua vita e che lui rese immortale. Il padre però lo aveva destinato in sposo a Gemma di Manetto Donati da cui ebbe 4 figli. Beatrice invece andò in sposa a Simonde de' Bardi. Quando Beatrice, nel 1290, morì, il Poeta cadde in uno stato di profonda prostrazione e crisi religiosa dalla quale uscì dedicandosi agli studi ed all'attività politica iscrivendosi alla corporazione dei medici e degli speziali.

A Firenze governavano i Guelfi, vale a dire i sostenitori del Papa. Questi a loro volta erano divisi tra guelfi neri e guelfi bianchi, i primi dipendevano in tutto dal Papa i secondi sostenevano una maggior indipendenza della loro azione politica. Dante era un guelfo bianco.

Nel 1300, Dante fu eletto Priore di Firenze, la maggior carica politica di allora. L'anno successivo fu inviato a Roma per tentare di calmare l'ira del Papa contro i guelfi bianchi. Mentre era in viaggio, il Papa inviò a Firenze Carlo di Valois, fratello del re di Francia, con l'intenzione di eliminare i guelfi bianchi e consegnare il potere ai guelfi neri. Così avvenne. Dante fu condannato in primis a due anni di esilio e successivamente, per non essersi presentato al processo, fu condannato al rogo.
Dante non ritornerà mai più nell'amata Firenze. L'esilio fu un duro colpo per il Poeta ma, allo stesso tempo, essere fuori dalle passioni politiche, gli permise di vedere con occhio diverso gli avvenimenti dandogli un forte stimolo per la sua produzione letteraria e poetica. Dante vide nitidamente gli odi, gli egoismi, la corruzione che imperava e descrisse tutto questo nelle sue opere, prima fra tutte la Comedia iniziata probabilmente nel 1307. La venuta in Italia dell'Imperatore Arrigo VII, nel 1310, dà a Dante l'ultima illusione di poter rientrare a Firenze ma la repentina morte dell'Imperatore, nel 1313, cancella definitivamente ogni speranza. Dopo tanto peregrinare per le corti del nord Italia, la morte lo coglie a Ravenna nella notte fra il 13 ed il 14 settembre del 1321, ospite di Guido da Polenta. Dante è sepolto a Ravenna.


Foto: il famoso ritratto di Dante eseguito dal Botticelli.

mercoledì 10 settembre 2008

Paolo e Francesca.




Nel 1275, Guido Minore da Polenta, Signore di Ravenna, e Malatesta da Verucchio (colui che Dante indica come il Mastin Vecchio nella Divina Commedia), Signore di Rimini, si accordarono per favorire le nozze dei propri figli, Francesca da Polenta e Giovanni Malatesta. Le nozze furono il modo per consolidare una proficua alleanza grazie alla quale Guido da Polenta era riuscito a cacciare i Traversari, nemici e concorrenti, da Ravenna. I due sposi non si conoscono, la leggenda vuole che il matrimonio fu celebrato per procura ed il rappresentante dello sposo fu suo fratello, il bello ed aitante Paolo. Alcuni asseriscono che Francesca fu doppiamente ingannata poichè le era stato indicato Paolo come suo sposo. Giovanni Malatesta era detto anche Gianciotto dove il termine ciotto significa zoppo, deforme. La sposa Francesca da Polenta era invece una donna raffinata di leggiadra bellezza. Si può immaginare la sua meraviglia quando potè finalmente conoscere il marito, ma ormai il matrimonio era fatto e non le restava altro che adeguarsi.
La sorte vuole che Paolo abbia dei possedimenti a Gradara e che la bella Francesca sia spesso sola poichè il marito è affaccendato nella conduzione dei suoi affari militari e politici.
Cominciano le visite di Paolo alla Rocca di Gradara ed i due cognati, che si sono conosciuti all'epoca del matrimonio, sentono crescere ogni giorno di più il loro amore. La situazione che si è creata desta però dei sospetti, non tutti credono che le sempre più insistenti visite di Paolo alla bella cognata siano visite di pura cortesia.
Si dice che fu l'altro fratello di Giovanni e Paolo, Malatestino Dell'Occhio (detto così perchè aveva un occhio solo), ad avvertire Gianciotto della tresca. Costui, siamo nel settembre del 1289, finge di partire da Gradara per raggiungere Pesaro, di cui è Podestà, ma dopo poco rientra nella Rocca e trova gli amanti in atteggiamenti inequivocabili. Paolo cerca di fuggire da una botola ma il suo vestito si impiglia in un chiodo ed è costretto a tornare indietro. Gianciotto spada in mano si avventa sul fratello ma Francesca, per proteggere l'amante, gli si para davanti e vengono infilzati tutti e due.
Da allora, sono passati più di 700 anni, la storia di Paolo e Francesca è diventata leggenda.
Nel corso dei secoli poeti, musicisti, letterati, pittori e scultori si sono ispirati alla tragedia di Paolo e Francesca ed ancor oggi la loro storia d’amore, avvolta in un alone di mistero, affascina migliaia di persone.
Dante colloca i due amanti nel girone dei lussuriosi nel canto V dell'Inferno.
Nella Rocca di Gradara, nel secolo XVII fu scoperto, murato, uno scheletro rivestito di un'armatura mentre nel 1760, durante uno scavo fu rinvenuto un sarcofago contenente i resti di una donna che, dai vestiti e dai monili, si desunse essere una nobildonna. Pur non essendoci certezza, la fantasia popolare ha attribuito i due corpi a quelli dei due sfortunati amanti.

Dal V canto dell'Inferno:
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella personache mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,mi prese del costui piacer sì forte,che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.Quand'io intesi quell'anime offense,china' il viso e tanto il tenni basso,fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».....

Foto: La Rocca di Gradara.






















lunedì 8 settembre 2008

Il Presidente Napolitano su Yle1 Tv


Ieri sera, domenica, durante il telegiornale delle 20,30, la tv di Stato finlandese ha trasmesso un'intervista al Presidente Napolitano.

In Finlandia è prassi che la tv di Stato intervisti le Personalità politiche straniere in prossimità di una loro visita nel Paese.

Il Presidente tra l'altro ha affermato. "Noi siamo impegnati a costruire una politica estera e di sicurezza comune dell'UE. Molto potrebbe essere facilitato dalla entrata in vigore al più presto possibile del trattato di Lisbona. La UE da molti anni ha gettato le basi di un rapporto di cooperazione con la Federazione Russa che è un rapporto strategico ed essenziale per entrambe le parti di fronte alle sfide globali e ai problemi comuni del nostro tempo".


La visita, come comunicato dal Quirinale, si svolgerà secondo il seguente calendario:

La cerimonia di ricevimento e i discorsi ufficiali si svolgeranno presso il Palazzo presidenziale martedì 9 settembre, mentre il giorno successivo il Presidente Napolitano si recherà a deporre una corona di fiori al cimitero di Hietaniemi e, successivamente, verrà ricevuto all'Eduskunta, sede del Parlamento, prima di avere un incontro con il Primo Ministro, Matti Vanhanen.

Nel pomeriggio è previsto un incontro con la Comunità italiana in Finlandia.

Da italiano in Finlandia, l'augurio è che la visita serva a rafforzare quei sentimenti di amicizia e stima di cui proprio noi che viviamo in questo Paese siamo i primi testimoni.
Nella foto: il Parlamento finlandese

Minoranze linguistiche in Italia. Il Tabarchino



Il Tabarchino è espressamente riconosciuto come lingua minoritaria all’interno della Regione Sardegna in base alla legge regionale n. 26 del 15 ottobre1997.


Questa lingua, variante del genovese, era parlata nel sec XVI nell'isola di Tabarca in Tunisia. successivamente, nel sec. XVIII, si trapiantò in Sardegna, nel'arcipelago del Sulcis, e in Spagna, nell'isola di Nueva Tabarca, nella Regione di Alicante. Oggi il Tabarchino risulta estinto, dal sec. XX, in Spagna mentre è ancora parlato in Sardegna nei comuni di Carloforte, sull'isola di San Pietro, e di Calasetta, sull'isola di Sant'Antioco. Comunità di Tabarchini vivono anche a Cagliari, a Carbonia ed Iglesias oltre che a Genova.


La consistenza numerica delle persone che parlano il Tabarchino è di circa 9.ooo persone.


Attulamente, al fine di tutelare la lingua, i Comuni di Carloforte e di Calasetta adottano varie iniziative tendenti alla diffusione ed alla conservazione della lingua all'interno delle comunità.
Nella foto: Carloforte - corso Tagliafico
Una poesia in Tabarchino con la traduzione in italiano.

Nötte de San Gianmbattishta di Giuseppe Damele Garbarino
Shtanötte in queshta nötte antigade föghi a rüzò a bràighe nell'odù dell'erba i zöghi dell'amù. A shtè a s'avvie...E duman u su za u ciàighe pê vie du seversu a porta dell'invernu. Eternu gìu dansa reshpiù e sushpiù d'amante ad amante eccitante magìa se rinnöve shtanötte infinì ach'a shcrove a me nötte a to nötte suli in ta fragransa dell'erba shtanötte superba.



Notte di San Giovanni Battista
Stanotte in questa notte antica di fuochi la rugiada brìga nell'odore dell'erba i giochi dell'amore.L'estate si avvia...E domani il sole piegherà per le vie del cielo verso la porta dell'inverno. Eterno gioco danza respiro e sospiro d'amante ad amante eccitante magìa si rinnova questa notte infinita che scopre la mia notte la tua notte soli nella fragranza dell'erba questa notte superba.
Tratta dal libro Grammatica Tabarkina di Nino Simeone edito da Bandecchi e Vivaldi.

sabato 6 settembre 2008

La cassata siciliana


La cassata siciliana è una torta tradizionale a base di ricotta zuccherata, pan di Spagna, pasta reale, frutta candita e glassa di zucchero. Ingredienti aggiuntivi, quali pistacchi, pinoli, cioccolato, cannella, maraschino, si possono trovare nelle diverse varianti presenti nell'isola siciliana.

Anche l'aspetto esteriore può variare da una povera decorazione di glassa e frutta candita fino a decorazioni molto più scenografiche e multicolori.

Una variante molto diffusa in tutta Italia è costituida dai cosiddetti "cassatelli di Sant'Agata", tipici di Catania, vengono preparati in occasione della festa patronale di Sant'Agata e sono fatti con pan di Spagna imbevuto di liquore, farcito con crema e ricoperto con glassa bianca su cui viene posta una ciliegia. Essi vogliono rappresentare una mammella con riferimento alla storia della Santa a cui furono asportate le mammelle prima del martirio.

La storia della cassata è antica ed ognuna delle dominazioni straniere della Sicilia ha contribuito ad aggiungere un nuovo ingrediente, una nuova variante.

Il suo nome sembra derivare dal termine arabo qasat (bacinella) o per altri dal latino caseum (formaggio).

Gli arabi (in Sicilia tra il IX e l'XI sec. d.C.) portarono in Sicilia il limone, la canna da zucchero, il cedro, l'arancia amara e la mandorla. Questi ingredienti, assieme alla ricotta che si produceva nell'isola da tempi preistorici, dettero vita ad una prima versione della cassata, costituita da un involucro di pasta frolla che veniva farcito di pasta frolla e poi infornato.

Durante la dominazione normanna (dall'anno 1061 all'anno 1194), nel convento della Martorana fu creata la pasta reale fatta con mandorle, zucchero ed estratti di erbe che davano la colorazione verde.

Successivamente, durante la dominazione spagnola (dall'anno 1516 all'anno 1713), fu introdotto in Sicilia il pan di spagna mentre risale all'epoca barocca l'introduzione dei canditi.

A questo punto ci furono tutti gli ingredienti che ritroviamo oggi nella cassata siciliana.

Inizialmente il dolce era tipico del periodo pasquale e la sua preparazione era riservata alle monache.

Un proverbio siciliano dice "E' stolto colui che, la mattina di Pasqua, non mangia la cassata".

Nel sec. XVI durante un sinodo dei vescovi siciliani fu affermato che "durante il periodo pasquale non si può rinunciare alla cassata", quasi un atto di fede!

mercoledì 3 settembre 2008

Il Presidente della Repubblica Italiana in visita di Stato in Finlandia il 9 e 10 settembre



Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, su invito del Presidente della Repubblica di Finlandia, Tarja Halonen, effettuerà una visita di Stato ad Helsinki nei giorni 9 e 10 settembre 2008, accompagnato dal Ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini.

Comunicazione


Sono una pastora luterana e ho lavorato in Italia per 9 anni.
Ogni tanto celebro la liturgia del matrimonio a qualche coppia italo-finlandese.
Di solito viene fuori che hanno avuto difficoltà nel trovare un pastore che sappia parlare italiano.
Perció voglio lasciare a voi il mio recapito, in modo di facilitare la ricerca.
Nella chiesa cattolica ci sono due preti italiani, e volendo è possibile organizzare il matrimonio anche con la presenza di due ministri delle chiese diverse. (In Italia facevamo così qualche volta, mentre qui in Finlandia sembra che si scelga di solito una delle due chiese.)
Se qualcuno vuole avere più informazione, sono disponibile a rispondere alle domande.
Con cordiali saluti,
Pastora Aija Kaartinen

tel. +358 50 3722776

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Helsinki, Finland
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