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martedì 31 marzo 2009

Alba ad Helsinki







Le Capitali d'Italia



Il 17 marzo del 1861, il primo Parlamento italiano riunito a Torino ratificava l'avvenuta unità del Paese e proclamava Vittorio Emanuele II di Savoia Re d'Italia. Il 26 marzo successivo, il Parlamento approvava un ordine del giorno che auspicava Roma capitale d'Italia. All'unità del Paese mancavano ancora le regioni nord orientali , in mano all'Austria e soprattutto il Lazio con Roma. Nel 1861 la Capitale del neonato Regno d'Italia era quindi la sabauda Torino, città che allora contava circa 175.000 abitanti, e lo resterà fino al 1865. Torino nel XVI sec. divenne la capitale del Ducato di Savoia, sino ad allora la capitale era stata Chambery, attualmente in Francia, e nel 1713, quando i Duchi di Savoia ottennero il Titolo di Re, prima di Sicilia e poi di Sardegna, la città di Torino diventò capitale di un Regno. Nel 1865, per motivi di opportunità politica, la Capitale del Regno d'Italia fu spostata da Torino a Firenze. La splendida città toscana era una tappa verso la definitiva sede della Capitale italiana che ancora era in mano al Papato sotto la protezione di Napoleone III. Nel 1870 Napoleone III perse il potere ed il 20 settembre, dopo un ultimo tentativo di arrivare ad un accordo pacifico con il Papa, le truppe italiane al comando del Generale Cadorna entrarono in Roma attraverso la famosa breccia di Porta Pia. Roma era stata conquistata! Il 3 luglio del 1871, il Re fece la sua entrata solenne nell'Urbe che divenne la terza e definitiva Capitale dell'Italia.


Foto: Camillo Benso conte di Cavour

sabato 28 marzo 2009

Pietà Rondanini


La Pietà Rondanini, così chiamata dal nome di uno dei proprietari, è considerata l'ultima opera scolpita da Michelangelo. La scultura raffigura, in uno schema alquanto insolito, Maria e Gesù in piedi, con la Madre in atto di sostenere a fatica il corpo morto del Figlio. La base della scultura è un'ara funeraria romana della fine del I secolo d.C., forse rimaneggiata in età rinascimentale, che reca le effigi dei coniugi Marco Antonio e Giulia Filumena Asclepiade. Michelangelo tornò a più riprese a lavorare intorno al soggetto della Pietà; oltre alla prima, conservata a S. Pietro abbiamo, in ordine di tempo la Pietà di Palestrina poi quella del Duomo di Firenze e in ultimo la Pietà Rondanini.
Nella sua continua ricerca tecnica ed espressiva, il Maestro approfondisce i temi della morte e del dolore collegati al messaggio cristiano della risurrezione del Cristo e della salvezza.

La Pietà Rondanini, attualmente conservata nel Castello Sforzesco di Milano, fu donata da Michelangelo ad Antonio del Francese. Nel 1744 la statua fu acquistata dai marchesi Rondanini, e fu conservata per molto tempo nella biblioteca di palazzo Rondanini a Roma in via del Corso.

martedì 24 marzo 2009

Isabella Morra


Nata a Favale, l'odierna Valsinni, nel 1516 circa, morì nell'inverno tra il 1545 e il 1546. Fu uccisa dai fratelli per una presunta storia d'amore con Diego Sandoval De Castro, poeta di origine spagnola, barone di Bollita (l'odierna Nova Siri). Petrarchista, Isabella Morra ha lasciato uno struggente canzoniere, fatto di dodici sonetti e tre canzoni, che, pubblicato per la prima volta nel 1559, ne fa la più grande poetessa d'amore del Rinascimento italiano per originalità e schiettezza del sentire.
Dopo un lungo silenzio, protrattosi dal 1559 fino all'Ottocento, fu riscoperta da Angelo De Gubernatis nel 1901, con una conferenza tenuta nel Circolo Filologico di Bologna, poi pubblicata nel 1907. Ma doveva toccare a Benedetto Croce occuparsene approfonditamente in un lungo saggio, che fu preparato da un viaggio-pellegrinaggio fino a Valsinni, tra il 23 e il 25 novembre 1928, nella speranza di trovar tracce della di lei vita e opera. Non fu trovato nulla, tranne l'aura entro cui si svolse una poesia, che, nata dall'isolamento geografico, diventava il canto della solitudine, secondo immagini e ritmi e sospiri che sarebbero stati, poi, di Giacomo Leopardi. Anche Isabella Morra, infatti, sognò la fuga e la libertà dal suo "denigrato sito", ove era costretta a "menar" la sua vita e che considerava "sola cagion del suo tormento". E anche per lei l'unica forma di evasione fu la poesia, intesa come canto.
Vagheggiando il mondo delle corti, la giovane poetessa pensava a Parigi, ove viveva suo padre, esule dal 1528 per aver parteggiato con i Francesi contro gli Spagnoli vincitori. Sola nel suo lontano castello, e in balia dei fratelli rozzi e selvatici, ella sospirava il ritorno del padre; bisognosa d'amore, forse dopo una grave malattia che la portò in prossimità della morte, trovò la quiete nella fede religiosa, di cui sono testimonianza la canzone a Cristo e la canzone alla Vergine; ma fu ripresa da un nuovo ardente desiderio di affetto e libertà al comparir di Diego Sandoval De Castro, marito dell'amica Antonia Caracciolo, applaudito nelle corti d'Italia, amico dell'imperatore Carlo V e dei potenti, ma nemico della famiglia Morra, filofrancese.
I fratelli di Isabella, per motivi d'onore, ma anche per motivi politici, non accettarono nemmeno il sospetto che fra la sorella e il nemico spagnolo, sposato e con figli, potesse correre una simpatia, che forse era solo letteraria. Né si potevano ignorare le voci che correvano tra la gente di Valsinni. Sotto i loro pugnali e archibugi, perciò, nell'ordine, caddero il pedagogo di famiglia, protettore di Isabella e presunto mezzano d'amore, la stessa Isabella e, l'anno successivo, Diego Sandoval De Castro. Per gli assassini, quindi, ci fu l'ospitalità francese, presso il re Francesco I e presso il padre, che dalla Francia non era mai rientrato e che nulla fece per evitare la terribile vendetta.
Fonte: APT Basilicata

D'un alto monte onde si scorge il mare

D'un alto monte onde si scorge il mare
miro sovente io, tua figlia Isabella,
s'alcun legno spalmato in quello appare,
che di te, padre, a me doni novella.
Ma la mia adversa e dispietata stella
non vuol ch'alcun conforto possa entrare
nel tristo cor, ma, di pietà rubella,
ha salda speme in piano fa mutare;
ch'io non veggo nel mar remo nè vela
(così deserto è l'infelice lito)
che l'onde fenda o che la gonfi il vento.
Contra Fortuna allor spargo querela,
ed ho in odio il denigrato sito,
come sola cagion del mio tormento
Foto: Il castello di Isabella Morra a Valsinni

sabato 21 marzo 2009

Equinozio di primavera


L’Equinozio di primavera è uno dei due momenti dell’anno in cui giorno e notte sono uguali (la parola equinozio deriva dal latino “aequus nox”, notte uguale), l'altro è rappresentato dall'equinozio d'autunno. Con l'equinozio di primavera inizia la metà dell'anno in cui le ore di luce sono maggiori di quelle buie. Le ore di luce aumentano sino al solstizio d'estate quando si avrà il giorno più lungo dell'anno. Dal solstizio d'estate le ore di luce, pur rimanendo maggiori di quelle di buio, cominceranno a decrescere fino all'equinozio d'autunno quando si avrà di nuovo l'equilibrio tra giorno e notte. Con lo stesso meccanismo l'equinozio d'autunno darà origine alla metà dell'anno in cui le ore di buio saranno maggiori di quelle di luce.
L'equinozio di primavera è l'inizio di questa stagione che ha segnato la storia dell'uomo il quale nelle sue varie espressioni culturali l'ha associata a concetti come rinascita, fertilità, resurrezione
Foto: La primavera di Botticelli

venerdì 20 marzo 2009

Minoranze linguistiche: il Cimbro

Il termine "cimbro" è una italianizzazione della parola "zimbar" usata dalla popolazione per indicare la propria lingua. Il cimbro è un dialetto bavarese arcaico, chiamato baiuvaro e definito dai linguisti come "la più antica parlata periferica esistente del dominio linguistico tedesco", questa peculiarità rende il cimbro particolarmente importante per gli studiosi. Nonostante l'omonimia, non vi sono correlazioni con le popolazioni di epoca romana conosciute come Cimbri che provenivano dalla Danimarca.
La lingua baiuvara è presente nel Trentino e nelle zone montane delle provincie venete di Verona e Vicenza.
Luserna, piccolo paese a circa 40 km da Trento è l'ultima isola linguistica in cui il cimbro viene parlato da quasi tutta la popolazione.
La comunità di lingua baiuvara è composta da circa 2230 persone, di cui 862 residenti nella Provincia di Trento (ultimo censimento del 2001).
Il cimbro è riconosciuto come una lingua minoritaria dello Stato italiano.

giovedì 19 marzo 2009

La memoria in un dito




Un ragazzo finlandese perde l’ultima falange di un dito in un incidente e si fa impiantare una chiavetta Usb
Tutto è nato da una battuta dei medici che hanno assistito Jerry Jalava, programmatore finlandese, in ospedale dopo l’incidente in moto in cui il ragazzo ha perso l’ultima falange dell’anulare sinistro.
L’IDEA – Apprendendo che il giovane geek si guadagna da vivere stando al computer, uno dei dottori che si occupava della costruzione della protesi per il dito gli ha infatti suggerito di compensare la porzione mancante con una pennetta Usb. Era ironico, ovviamente, ma a quanto pare l’idea è piaciuta molto al programmatore – evidentemente dotato di grande senso dell’umorismo e autoironia – , che non ci ha pensato due volte e ha chiesto che fosse realizzata.
LA PROTESI – È lo stesso Jerry a segnalare il link alla pagina di Flickr in cui ha pubblicato alcune foto del suo dito dotato di memoria. Con orgoglio. Ed è sempre lui a raccontare l’intera vicenda sulle pagine del proprio blog (http://protoblogr.net/blog/view/usb_finger-more_details.html) , dove spiega che la protesi in silicone in cima alla quale è stata incorporata la pendrive Usb non è fissa: è una specie di guaina morbida che può essere sfilata dal dito in qualsiasi momento. Per esempio quando il ragazzo deve trasferire dei dati da o sul suo personalissimo supporto di archiviazione digitale da 2GB di capienza. «Se devo usare la memoria Usb lascio la protesi infilata nella porta dedicata del computer, per poi rimettermela addosso quando il trasferimento dati è terminato», ha detto Jerry, che ha anche anticipato come sarà la versione 2.0 della protesi: «Avrà un tag Rfid sul polpastrello, e questa parte sarà rimovibile indipendentemente dal resto».

Fonte: Corriere della sera

mercoledì 18 marzo 2009

Il Sudario di Oviedo e la Sindone


Il Sudario di Oviedo è una reliquia della Chiesa cattolica costituita da un telo di lino delle dimensioni di 86x53 cm, conservato nella cattedrale di Oviedo in Spagna. Secondo la tradizione sarebbe stato usato per avvolgere il capo di Gesù dopo la sua morte.

Nel Vangelo secondo Giovanni si legge: «Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, era piegato in un luogo a parte» (Gv 20, 6-7).

Gli scienziati hanno accer­tato che il Sudario era stato posto sul viso di un defunto di sesso maschi­le. Il panno non era stato avvolto intera­mente attorno alla testa perché la guancia destra era quasi appoggia­ta sulla spalla destra, il che lascia supporre che il corpo fosse ancora sulla croce. Vi è poi una quadruplice serie di macchie (ovvero macchie speculari su entrambi i lati del panno ripiega­to) composte da una parte di sangue e da sei parti di liquido edematico polmonare, una sostanza che si accumula nei polmoni quando una persona crocefissa muore di asfissia e che, se il corpo viene mosso o scos­so, può fuoriuscire dalle narici. Alcune macchie risultano essere sovrapposte ad altre, i cui margini restano chiaramente individuabili, a significare che la prima macchia era già asciutta quando si è formata quella successiva. Alcune di queste macchie sono a forma di dita, chiaramente disposte nella parte attorno alla bocca e al naso. Sono state individuate sei posizioni diverse di varie dita di mano sinistra, probabilmente deter­minati da qualcuno che stava cer­cando di arrestare il flusso di sangue dal naso dopo che il panno era stato avvolto sulla testa della vittima. La disposizione e la successione delle macchie suggeriscono una probabile cronologia dei fatti.
Il cadavere deve essere rimasto sulla croce per circa un'ora dopo la morte, con il braccio destro piegato in alto e la testa incli­nata in avanti riversa sulla destra. Il corpo, con il capo ancora piegato verso destra, è poi stato spostato e adagiato in posizione orizzontale sul fianco destro per circa 45 minuti. Quindi è stato spostato di nuovo, mentre qualcuno (l'apostolo Giovan­ni?) cercava di arginare con la mano il flusso di liquido che fuoriusciva dal naso. Infine è stato disteso supino. Oltre alle macchie di liquido ede­matico ve ne sono di altri tipi, tra cui puntini di sangue causati da piccoli corpi appuntiti, che si ritengono essere stati spine.

Il Sudario e la Sindone:

La comparazione del Sudario di Oviedo con la Sindone di Torino è di grande interesse perchè da essa potrebbe scaturire la prova della autenticità di entrambe le reliquie.

Innanzitutto il sangue risulta essere di gruppo AB in entrambi i casi.

Anche la lunghezza del naso corrisponde in entrambi i teli.
La datazione con il metodo del carbonio 14, attribuisc ai due teli epoche diverse. Sappiamo che numerose polemiche sono derivate dalle indagini fatte con tale metodologia poichè, secondo alcuni, non darebbe la giusta datazione su reperti del genere.

A differenza della Sindone che mostra la famosa immagine acheropita (cioè non dipinta da mano umana ma di origine miracolosa), sul Sudario di Oviedo non troviamo niente di simile ma solo macchie di sangue e dettagli che sono il frutto di un normale contatto fisico tra il telo ed il capo di un uomo.

venerdì 13 marzo 2009

I Walser


Il termine Walser deriva dal tedesco walliser che indica gli abitanti del cantone vallese della Svizzera.

Con questo termine oggi si indica una popolazione di lingua germanica emigrata tra l'8° ed il 13° secolo dalla zona in cui oggi si trova il cantone svizzero di Berna verso i vicini Paesi tra cui anche l'Italia. Nel nostro Paese i Walser sono presenti in Piemonte ed in Valle d'Aosta. La diffusione odierna delle comunità walser lungo l'intero arco alpino conta circa 17000 individui, di cui 3.500 in Austria, altrettanti in Italia e 10.000 in Svizzera.
La lingua parlata dai walser è una forma arcaica del dialetto svizzero tedesco.

Uno dei centri walser italiani più importanti è Alagna Valsesia, in provincia di Vercelli, nota stazione sciistica del comprensorio del monte Rosa.

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Helsinki, Finland
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